Il nunzio apostolico a Cuba

Il ricordo di Mons. Zacchi in un recente articolo dell’Osservatore Romano
Tommaso Caputo

Il 28 novembre di cento anni fa nasceva Cesare Zacchi (1914-1991), arcivescovo di Maura, nunzio apostolico e canonico della basilica di San Pietro. Ne traccia un ricordo l’arcivescovo prelato di Pompei, già nunzio apostolico a Malta e in Libia, alunno della Pontificia Accademia Ecclesiastica quando monsignor Zacchi ne era presidente.

Cesare Zacchi nacque a Raggiolo, in provincia di Arezzo, il 28 novembre 1914, da Raffaello e Angela Bertuccelli. Dopo il ginnasio e il liceo presso il seminario di Arezzo, fu inviato in Austria, al seminario di Innsbruck, dove conseguì la laurea in teologia. Ordinato sacerdote nel 1937 si dedicò a un’intensa attività pastorale e di insegnamento. Fu, tra l’altro, responsabile di una parrocchia alla periferia di Arezzo e docente di teologia dogmatica nel seminario diocesano, mentre gli veniva chiesto di intraprendere i corsi accademici di diritto canonico. In seguito, monsignor Zacchi ricorderà con nostalgia gli anni della pastorale parrocchiale, le visite agli ammalati e agli anziani di Raggiolo, il desiderio di stabilire un rapporto personale di amicizia sincera con tutti, anche con chi la pensava diversamente, scorgendo in loro dei fratelli da amare e servire. Nel 1949 fu chiamato alla Pontificia accademia ecclesiastica in Roma per la preparazione al servizio della Santa Sede all’estero. Il 1° agosto 1950, dopo la laurea in diritto canonico, partiva per la nunziatura apostolica di Vienna. Poi fu destinato a Belgrado... Bogotá... Dopo pochi mesi, il 22 gennaio 1961, lo troviamo a Cuba, come braccio destro di un nunzio di circa 79 anni, monsignor Centoz, che nel luglio 1962 lasciò Cuba e affidò a monsignor Cesare Zacchi la nunziatura come incaricato d’affari ad interim. Monsignor Zacchi era arrivato a Cuba nel bel mezzo del confronto tra Stato e Chiesa e pochi mesi prima dello sbarco della Baia dei Porci. Si trovò a gestire da solo numerose circostanze delicate. Dopo “4 anni di solitudine”, l’8 settembre 1966, arrivava da Roma il primo collaboratore, don Fortunato Baldelli (poi nunzio apostolico e cardinale, morto nel 2012). Intanto a Cuba i rapporti miglioravano e il 16 settembre 1967 Papa Paolo VI elevava all’episcopato l’incaricato d’affari ad interim della nunziatura apostolica, monsignor Cesare Zacchi. «Tutta Raggiolo ha accolto festante la notizia della Sua promozione all’Episcopato», scriveva qualche giorno dopo il confratello aretino don Orlando Braccini al neo-eletto. «Gradisca le felicitazioni e gli auguri di tutta questa popolazione e miei personali. Al Suo rientro in Italia, il sottoscritto, il Sindaco M° Silvano Ciarchi ed altri, gradiremmo essere ricevuti da Vostra Eccellenza, oltre che per un doveroso omaggio, anche per concordare quello che la Parrocchia ed il Paese di Raggiolo vogliono fare per solennizzare l’avvenimento... Sa bene che non può rifiutarsi ad una festa in Parrocchia. Tutti ci teniamo grandemente non solo per la gloria di Dio e un maggior senso di attaccamento alla Chiesa, ma anche per un giusto orgoglio paesano... Non può mancare una bella festa a Raggiolo e... perché no? la Sua consacrazione a Raggiolo (scusi il troppo ardire...). Ma ne desideriamo parlare al più presto possibile!».

Questa lettera del 25 settembre 1967 arrivò a Cuba 4 mesi dopo, il 26 gennaio 1968. Nel frattempo, il 12 dicembre 1967, nella cattedrale dell’Avana, monsignor Cesare Zacchi veniva solennemente consacrato vescovo. La parrocchia di Raggiolo si unì «spiritualmente ai piedi della nostra Madonna delle Grazie», scriveva il 16 dicembre don Orlando Braccini. «Ci auguriamo tutti con ansia di averlo tra noi nella prossima estate, e Lei deve — scusi il termine — fare di tutto per non deludere le nostre legittime aspirazioni. Scelga presto la data e ce la comunichi: certamente è desiderabile per troppi motivi dall’agosto all’8 settembre, tanto più che la Festa della Madonna cade anche di Domenica».

Il 26 gennaio 1968 monsignor Cesare Zacchi così rispondeva alle due lettere di don Orlando Braccini: «Grazie a Lei, alla popolazione ed al Sindaco M° Silvano — che La prego voler salutare molto cordialmente da parte mia — per i sentimenti ivi espressi e per i piani benevolmente propostimi... Il ritardo nel rispondere è dovuto più che al desiderio di dare qualche indicazione precisa circa la mia venuta ad una certa avversione ad essere oggetto di festeggiamenti (anche qui mi sono limitato all’essenziale). Menomale che avevo fissato di venire a Raggiolo durante l’estate 1968 prima di sapere della mia nomina a Vescovo. Comunque desidero che si facciano le cose semplicemente, diciamo in famiglia (la famiglia dei cari compaesani), e senza chiasso sulla stampa. Quanto all’epoca, sarà piuttosto per l’8 settembre... Grazie anche ai Compaesani, per la partecipazione alla mia consacrazione, il 12 dicembre 1967. La cerimonia riuscì molto bene con la partecipazione, oltre che di tutti i Vescovi, di più della metà del clero di Cuba e di tanti fedeli (la cattedrale era riempita quasi delle sole delegazioni diocesane e parrocchiali): cosa molto significativa in questo Paese, in cui molto spesso, per il bene della Chiesa, ho dovuto agire contro le esigenze della popolarità. Vi erano anche oltre un centinaio di diplomatici. Le comunioni furono moltissime. Quello che colpì di più fu il raccoglimento, e la attenta partecipazione al rito, dell’assistenza. Si sarebbe udito cadere un ago, come si suol dire. Al ricevimento poi, il giorno dopo, la cordialità fu molto grande (era presente ogni classe di persone, persino suore) e fece bella mostra di sé la fraternità. Intervenne pure il Primo Ministro, in compagnia del Ministro degli Esteri, che rimasero due ore e mezzo».

La scelta di ricevere la consacrazione episcopale a Cuba non fu casuale. Monsignor Zacchi lo spiega in una lettera del 17 settembre 1967 all’allora parroco della cattedrale di Arezzo, monsignor Francesco Bordoni: «per il maggior bene della Chiesa in Cuba (so che questo gesto sarà apprezzato moltissimo sia dalla Chiesa che dallo Stato in Cuba e vi è la speranza ch’esso contribuisca ad avvicinare alquanto le due parti), ho chiesto alla Santa Sede il permesso di essere consacrato all’Avana. Ciò toglierà a Lei ed a molte persone che mi onorano e consolano con il loro affetto, amicizia e benevolenza, nonché a me la gioia di celebrare insieme una data significativa e bella ma, in vista del raggiungimento di fini superiori mi sembra essere la cosa più saggia ed intelligente. Vuol dire che ci rivedremo l’anno venturo con tutta semplicità e, l’assicuro, in niente cambiato, a meno che non sia, Dio lo voglia, una maggiore vita interiore». A Cuba — e per merito senz’altro dell’incaricato d’affari ad interim, il vescovo Cesare Zacchi — i rapporti tra Stato e Chiesa miglioravano gradualmente... Il 25 maggio 1974 Papa Paolo VI nominava monsignor Cesare Zacchi nunzio apostolico e lo elevava alla dignità arcivescovile. Con questo provvedimento si ritornava nella piena normalità dei rapporti diplomatici. La Santa Sede e Cuba erano così rispettivamente rappresentate, a livello diplomatico, da due ambasciatori. Monsignor Zacchi, per i meriti acquisiti, si ritrovò inoltre a esercitare anche la funzione di decano del corpo diplomatico presente a Cuba. Aveva rappresentato il Santo Padre all’Avana in anni difficili. Veritas in caritate (“verità nella carità”) fu il suo motto episcopale. Lo mise in pratica in modo mirabile: in ogni occasione difese la Chiesa, esprimendo, allo stesso tempo, sicurezza sui valori e carità nei confronti delle persone. Fu un cristiano, un sacerdote e un vescovo autentico: guidato in ogni sua azione dal Vangelo, diffuse intorno a sé la buona novella di Gesù che certamente diede tanti frutti.

Si era intanto reso vacante l’ufficio di presidente della Pontificia accademia ecclesiastica, l’istituzione romana che da oltre trecento anni forma i sacerdoti che sono destinati al servizio della Santa Sede nelle rappresentanze pontificie. Il 31 maggio 1975, nel corso dell’Anno Santo, Paolo VI chiamò l’arcivescovo Cesare Zacchi, il quale prendeva possesso del nuovo incarico l’8 luglio 1975. Rientrava in Italia dopo 25 anni all’estero. Aveva 61 anni. Tornato a Roma, dopo la complessa esperienza cubana, trovò ben presto accordo e sintonia con i giovani sacerdoti a lui affidati, puntando sulla propria giovinezza di spirito. Per 10 anni, fu un testimone di disponibilità sacerdotale, di fedeltà e amore alla Chiesa... Lasciò la Pontificia accademia ecclesiastica nel 1985, dopo il compimento dei 70 anni. Giovanni Paolo II lo volle in Vaticano come canonico della basilica di San Pietro. Continuò, così, con equilibrio e riservatezza, a servire la Santa Sede con la preghiera, come amava dire egli stesso. Concluse la sua giornata terrena sabato 24 agosto 1991, a quasi 77 anni. Il mercoledì precedente, 21 agosto, Giovanni Paolo II andò a visitarlo e a confortarlo. Chi gli è stato accanto negli ultimi mesi ne ha ricevuto esempi indimenticabili. Al Signore che lo chiamava sulla strada della sofferenza diede la sua risposta di «adesione con realismo sereno. Era certo di stare nelle mani di Dio e di farne la volontà», come ebbe a dire il cardinale Virgilio Noè, arciprete della basilica vaticana, nell’omelia dei funerali. Con profonda fede accettò la morte che sopraggiungeva, manifestando così la sua forte personalità di uomo e di sacerdote. Lo stesso Cardinale Noè, nell’omelia ricordava, tra l’altro, che «per le sue qualità, l’arcivescovo Zacchi fu circondato dal rispetto e dall’ammirazione anche dei laici e dei non-credenti». Tra le corone di fiori giunte in Vaticano vi era quella inviata personalmente dal presidente di Cuba, Fidel Castro. Ogni anno, nell’anniversario della morte, l’ambasciatore di Cuba ha continuato a deporre una corona di fiori sulla tomba del compianto arcivescovo Cesare Zacchi nella cappella dei canonici di San Pietro in Campo Verano. La profonda vita spirituale di monsignor Zacchi trova espressione in un suo pensiero: «Sento in me un immenso desiderio di fare qualcosa nel Regno di Dio, di consumarmi realmente per Nostro Signore Gesù Cristo, come la candela sull’altare. E al futuro, che avanza forse gravido di dolori, guardo con serenità». È stato un sacerdote che ha amato Dio nei fratelli, senza fare distinzioni, desideroso di donare amicizia, verità, carità.