Raggiolo, a veglia nel seccatoio

Nel cielo azzurro di Raggiolo le rondini non garrivano più, al loro posto uccelli dal folto piumaggio si libravano nell’aria riempiendo il bosco, incendiato dei colori dell'autunno, di armoniosa soavità e dolcezza. Tra questi il passero con il suo canto melodioso ci accompagnava fino alla sera. Un suono alto, acuto e cristallino, proveniente dal paese, era quello delle campane della Chiesa che scandivano lo scorrere della giornata. Ricordo questo periodo come “il tempo delle castagne”, un tempo lungo che andava dal mese di ottobre a dicembre, dalla raccolta fino alla farina di castagne, macinata nei mulini del paese e poi gelosamente conservata in casa nei cassoni. Rammento la dolcezza della polenta con la farina nuova, morbida e profumata. I pastori con le loro greggi erano partiti da tempo per le maremme.

 

Ci si alzava molto presto al mattino, al primo chiarore, ben protetti da indumenti di lana per smorzare l’aria brumosa e, col paniere dal manico arcuato per infilarvi il braccio, si giungeva al castagneto con passo deciso, prima che la campana dell’orologio di piazza annunciasse l’ora mattutina. Tutta la famiglia era mobilitata e la scuola del paese in quei giorni restava deserta. I grandi ombrelli di cerata verde col manico rosso ci proteggevano dalla pioggia autunnale. Il bosco profumava di muschio e di funghi. La raccolta era scabrosa e scomoda per la posizione che si assumeva per l’intera giornata, chinati verso terra. Con le mani che affondavano tra i ricci spinosi, si toglievano le castagne benedette, aiutandosi con la forcella. Nel cavare le castagne gli aculei penetravano nelle dita e il dolore procurato dalla puntura era intenso. Con ansia si aspettava il momento del rientro a casa per immergere le dita nell’acqua bollente del paiolo, tanto da far uscire gli spini e lenire quel tormentoso dolore. Alla fine della raccolta nel vastissimo castagneto che circonda il paese non restava a terra una sola castagna.

 

Si tornava dal bosco verso casa al tramonto, al suono del vespro, logorati, provati dalla fatica, ma con una sensazione di serenità interiore, perché si andava incontro a qualcosa di allettante, non solo per la cena calda e corroborante, quanto per la veglia al seccatoio. Questa parte della giornata non richiedeva vigoria fisica, anzi assicurava un allentamento della tensione fisica e mentale. Era il momento dello stare insieme, al tepore della brace, in quella stanza buia, illuminata solo dai carboni ardenti ed animata dai racconti degli anziani. Il seccatoio era un luogo inusuale, fantastico. Si vegliava il fuoco per mantenerlo acceso senza fiamma, in modo da far sprigionare il calore necessario per essiccare le castagne collocate sul caniccio che faceva da soffitto, sopra le nostre teste. Il fuoco era ricoperto di pacciame per sviluppare senza sosta più fumo possib ile, in quanto il calore dato dal fumo tirava fuori l'umidità dalle castagne, fino a seccarle del tutto in una quarantina di giorni. A Raggiolo, vero regno delle castagne, vi erano tanti seccatoi, tutti in funzione sia in paese che nel bosco. Accecati dalla fuliggine impregnata sui muri, generavano un’energia particolare. Ricordo che fuori il freddo cominciava a pungere, ma dentro il seccatoio c'era un’atmosfera tiepida e magica, data dai bagliori del fuoco e dalla quiete, che avvicinava le persone, tanto da permettere all’animo di aprirsi a confidenze che rendevano più forti i legami familiari e di vicinato.

 

L'ambiente del seccatoio offriva spazio all'incontro e alle relazioni. Era arredato in modo rustico ed essenziale: solo sedie e panche basse sul pavimento di pietra, perché si doveva stare seduti al di sotto delle nuvole grigie per beneficiare del calore della brace ed evitare il denso fumo, che avrebbe fatto arrossire e lacrimare gli occhi. Tutto seguiva regole antiche e precise, tramandate di generazione in generazione. I tizzoni, che bruciavano sotto la grande lastra posta a proteggere il raccolto dalle faloie, erano rigorosamente di legna di castagno, perché diversamente le castagne avrebbero avuto un sapore sgradevole. Anche il caniccio dove riposavano le castagne era dello stesso legno. Nel contempo veniva messa sui carboni una vecchia padella dal fondo forato, ripiena di castagne miste a marroni. Il loro chiassoso scoppiettio man mano decresceva fino alla cottura completa, che mutava l’appellativo di castagna in “bricia”. Alla vecchia padella dal fondo forato, tolta dal fuoco, si faceva fare il giro della stanza buia per offrire a tutti i presenti il frutto dolce, a dimostrazione di una viva coesione sociale. Le castagne sono state per noi un dono prezioso, perché hanno assicurato il nutrimento indispensabile alla sopravvivenza. Il castagneto era infatti la grande risorsa di Raggiolo ed era coltivato e tenuto con grande cura, trattato con vero rispetto, conservato con gelosia. Le castagne erano la nostra manna, un dono divino. In autunno dai tanti seccatoi e dai camini dei focolari accesi fuoriusciva un acre odore di legna bruciata. Era l'odore inconfondibile dell'autunno, oggi solo un ricordo. Non ho dimenticato il fumo brumoso e azzurrognolo, spinto dalle folate del vento che da lontano segnava il profilo di Raggiolo e pervadeva i vicoli selciati del paese, conferendo loro un aspetto insolito, quasi fiabesco.

 

Nel seccatoio, durante la sorveglianza del fuoco, gli anziani, o coloro che possedevano una cultura superiore, oltre a conversare sui fatti del giorno, tramandavano racconti popolari, declamavano poemi epici e brani della Divina Commedia. Al lume di candela si leggevano libri a voce alta. Da queste veglie, attraverso il narrare, il sapere e la memoria collettiva passavano di generazione in generazione e rimanevano un vivo patrimonio comune. Da qui affioravano le storie locali, frutto anche di fervide fantasie, ma pure di verità rivelate e di testimonianze trasmesse. Storie inquietanti e misteriose a volte velate di comicità, tanto schietta quanto sinistra. Ma anche storie innocenti, storie appassionate, sentimentali e di solito a lieto fine, per cui la tensione emotiva accumulata si scaricava tra le volute del fumo e il tepore del seccatoio. Alcuni personaggi del paese erano celebri per la loro arte nel narrare e venivano invitati nei seccatoi ad animare le veglie. Tra questi, Pergentino Donati, con le sue sentenze latine, la voce chiara, vivace e tanto armonica da essere primo cantore nel coro parrocchiale; Oreste Martini “Martellino”, di animo gioioso e dalla battuta pronta, ironica e spesso coniugata alla poesia; Ettore e Donato Donati, Giuseppe “Canaccio” Rossi, che suonava la fisarmonica, Gustavo Ristori: con spirito brioso ed eccitante tenevano viva la brigata e con i racconti e i canti in ottava rima, sollecitavano l'immaginazione dei presenti. Ci si dimenticava la fatica del giorno e la serata si trasformava in una festa. Le leggende, le novelle e le storie erano strumento d’intrattenimento e di ammaestramento. Si stabilivano nuove forme di relazione attraverso scambi reciproci di significati e di valori condivisi. Ci sentivamo partecipi di una lunga storia collettiva, che si addentrava nel passato di Raggiolo e delle sue famiglie. Numerosi nomi battesimali di raggiolatti quali Omero e Annibale, Achille, Ettore, Elena e Paride, Amintore, Leonida, Socrate, Orazio e Ovidio, Armida e Clotilde, Clorinda, Erminia e perfino Criseide sono alcuni dei nomi scelti dai poemi storici narrati nelle veglie del passato. La cultura suscitava interesse, accendeva la fantasia, tanto che durante le veglie e da un seccatoio all'altro avveniva lo scambio di libri alla guisa del prestito in biblioteca. A Raggiolo già anticamente si era in grado di leggere e scrivere e di conseguire buoni livelli di conoscenza e partecipazione alla vita sociale.

 

Le nostre vite erano semplici e faticose, ma spesso riuscivamo ad essere felici. Sapevamo quale era il nostro posto nel mondo di Raggiolo, in quei giorni ormai lontani nel tempo. Al termine della serata, spesso dopo una preghiera, ci si dava appuntamento all'indomani e insieme agli eroi del passato si andava a letto contenti e rinfrancati, pronti per una nuova giornata di lavoro. Nel freddo e nel silenzio il seccatoio ormai deserto continuava a fumare contro il cielo nero della notte.

 

                                                                                               Fernanda Ciarchi e Paolo Schiatti

 

 

Oggi questo patrimonio identitario è affidato all’Associazione La Brigata di Raggiolo e all'Ecomuseo del Casentino, che insieme hanno fatto del locale Museo della Castagna un vivace centro di promozione culturale e sociale, dove si trovano documentazioni sugli antichi saperi, inclusa la raccolta della castagna fino alla molitura per la trasformazione in farina. Ogni anno, durante la Festa di Castagnatura all’imbrunire prende il via la veglia al seccatoio con i racconti letti intorno al fuoco. Sempre nel periodo autunnale molte scolaresche visitano il percorso didattico che dal Museo conduce fino al Mulino di Morino. Rivivono così momenti e luoghi di un tempo assai lontano, ma non dimenticato. E il seccatoio continua, in nuove forme, ad essere luogo memorabile e affascinante, destinato a sopravvivere nel ricordo delle generazioni future e forse a mantenere qualche forma della sua antica efficacia. E chissà che qualche sera Pergentino o il 'poro' Ettore non si ritrovino ancora a veglia con noi nel Seccatoio del Cavallari.