La Brigata di Raggiolo per il DanteDì: nei luoghi di Dante

Raggiolo si trova in Casentino e dall'alto della sua posizione, un tempo dominata dal castello dei Conti Guidi, guarda lo scenario della valle dove Bonconte cadde, alla foce del fiume Archiano.

Siamo nel Canto V del Paradiso (85-129). Raggiolo ha il Pratomagno alle spalle e il “gran giogo” a sinistra, sullo sfondo il  “crudo sasso”  della Verna (Par.XI, 106-108). E' lo scenario reale in cui Dante colloca la leggendaria morte di Bonconte, il capo dei ghibellini che nel 1289 scomparve nella battaglia di Campaldino, poco lontano dall'Archiano. In quel campo insanguinato combattè anche Dante. Le potenze infernali, non avendo potuto impadronirsi dell'anima di Bonconte, si vendicarono sul suo corpo, suscitandogli contro le forze della natura, che trascinarono il cadavere in Arno, dove fu coperto dai detriti del fiume. Celebre l'inizio del dialogo, dove la vanità dei titoli del mondo lascia spazio solo alla persona interiore, a quel che non muore. Dante incontra il nemico di un tempo, ma le contrapposizioni politiche hanno perso significato per lasciare spazio allo strazio della fine del condottiero, alla sua conversione e alla sperata salvezza per la misericordia di Dio. Il tono epico e malinconico conferisce tensione al Canto, dove la grandiosità di Bonconte nasce, più che dallo scontro delle potenze infernali con quelle angeliche, dallo sfondo paesistico sul quale si distende la catena dei monti del Casentino e la vasta campagna in cui Bonconte “forato nella gola” va incontro al suo destino lasciando una scia di sangue.

E' il teatro naturale che ancora oggi si offre alla vista da Raggiolo, il cui conte Federigo Novello dei Guidi è ricordato da Dante nella schiera dei tardo pentiti che fa cerchio a Bonconte (Pur. VI,16-17).

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PURGATORIO, CANTO V

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;           88
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte».        90

E io a lui: «Qual forza o qual ventura
ti traviò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?».            93

«Oh!», rispuos’elli, «a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.              96

Là ‘ve ‘l vocabol suo diventa vano
arriva’ io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.      99

Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.                   102

Io dirò vero e tu ‘l ridì tra’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?         105

Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ‘l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!".               108

Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove ‘l freddo il coglie.              111

Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ‘ntelletto, e mosse il fummo e ‘l vento
per la virtù che sua natura diede.                     114

Indi la valle, come ‘l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ‘l ciel di sopra fece intento,           117

sì che ‘l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;                    120

e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.                            123

Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce           126

ch’i’ fe’ di me quando ‘l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse».                129